A chi ricorda lo spirito dei Padri genitori dell’idea di Europa, la situazione nella quale si trova oggi il nostro Continente non appare certo rosea.
Dopo 70 anni dal patto sancito dai Grandi, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, Robert Schumann e, a seguire, dai grandi europeisti, in prima fila Altiero Spinelli, il ritratto che si può avere dell’Unione Europea che abbiamo non è di sicuro confortante.
Una storia disseminata da vari Trattati, un percorso con importanti obiettivi intermedi: l’allargamento a più Paesi, dai primi 6 fondatori ai 28 attuali, e l’introduzione dell’euro come moneta unica, ma tutto questo non è riuscito a vincere il principale freno che si è frapposto e tuttora molto presente verso una Europa politica, ossia il mantenimento della sovranità degli Stati nazionali con la conseguente resistenza alla cessione graduale di sovranità al formarsi dell’Unione politica. E così ci si trova di fronte a un’Europa in contraddizione, da un lato la libera circolazione e dall’altro la moneta europea “rifiutata” da molti Stati, anche importanti. Si direbbe un tragitto né economico, né politico; forse, a detta di molti, specie dai detrattori, solo un’Europa di regole e di norme, anche utili, ma che, non sorrette da un traguardo politico che le supporti in questo cammino, rischiano di essere fine a sé stesse e, perfino, provocare dissensi e contrasti all’idea stessa di Europa che viene giudicata una entità solo burocratica.
Come non mai, oggi, all’Europa e agli europei, occorre uno sforzo di volontà politica per dare al mondo un nuovo, o rinnovato, messaggio, che non può che essere: gli Stati Uniti d’Europa. Anche perché, a fronte di un mondo globalizzato, fatalmente il nostro continente si ritrova più piccolo e da ciò aumentano le ragioni perché debba essere non estraneo alla sua storia e, diciamolo pure, a quella buona scuola di civiltà che, seppure a fasi alterne, ha dato al mondo.
E’ questo nuovo slancio il primo urgente passo per uscire dalla fragilità nella quale si è cacciata l’Europa. Una fragilità evidente in molti aspetti, in primo luogo lo smarrimento della regola politica che per un continente significa ad esempio “ragionare in grande” e, anziché litigare su dove distribuire i migranti (senza peraltro riuscirci), porre le basi, lanciare una autentica strategia, con gli strumenti dei quali è ricca l’Europa (tecnologia, finanza) per avviare nuove economie là, nei luoghi da dove la gente scappa per non morire di fame. E non vi è dubbio che questo approccio, questa “generosità”, che il corpo dell’Europa potrebbe affrontare e offrire a quel “povero mondo”, toglierebbe sempre più spazio a coloro che, proprio a partire da quelle povere condizioni, inneggiano, reclutano e fanno la guerra per ottenere il potere contrabbandandolo come guerra di religione.
Quindi, invece che litigare al proprio interno, l’Europa si interroghi; il nostro Renzi reagisce perché, a ben vedere, non si vede trattato alla pari di Francia e Germania; ha ragione? Forse sì, ma, visto che è tipo sveglio e lesto, lo consigliamo a non dimenticare mai il fine vero dell’Europa e non smarrirne per strada il concetto, perché a quel grande traguardo si possono anche sacrificare aspetti al momento poco gratificanti, che sono importanti, ma sempre dettagli e, visto che il nostro capo del governo, nel bene e nel male, quando parla si fa capire, dica chiaro e forte, se lo pensa, che il nostro Paese, l’Italia, è tra i fondatori dell’Europa, non quella che vediamo oggi, ma quella cui aspiriamo di vedere domani e per quella lavoriamo.
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