Profughi e mondo cattolico: accoglierli o respingerli

di Ferdinando De Capitani
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La paura ha effetti paradossali: ingigantisce i problemi e proprio per questo non permette di affrontarli con la necessaria pacatezza. Da anni il nostro Paese, con altri, sta sopportando l’urto di migliaia di profughi. L’alternativa che si pone nella semplificazione mediatica è: accoglierli o respingerli? Da una parte, anche sullo stimolo insistente di Papa Francesco (ma si potrebbe dire anzitutto per il Dna del nostro Paese), si fa di tutto per accoglierli, riconoscendo che sono persone degne di vivere come tutte le altre. Dall’altra, si invoca la chiusura delle frontiere, si chiede di rimandarli a casa (quale sarebbe è difficile stabilire, vista la provenienza), si propone perfino di lasciarli annegare.
Il problema sta lambendo anche le nostre comunità, poiché il Governo ha disposto la distribuzione dei profughi sul territorio nazionale e le Prefetture hanno il compito di garantire la loro accoglienza in proporzione alle effettive possibilità. Il problema ha assunto anche risvolti politici: non manca mai occasione per fare opposizione al Governo di turno! Giustamente, chi guarda il problema con lucidità si domanda come l’accoglienza si possa attuare. Inserire nel tessuto delle nostre comunità, a volte già segnate da difficoltà economiche e sociali, persone di cultura e religione diverse, che non conoscono la lingua, che vengono da condizioni di fame e di guerra, è un’impresa titanica: richiede creatività e coraggio, che sono l’esatto contrario della paura. Ma ancora prima, appare la domanda: «Perché si dovrebbero accogliere?». La risposta dipende dalla visione che si ha della persona e della sua dignità, oltre che dell’umanità nel suo insieme. Se l’ospitalità è il primo passo per entrare nel territorio della civiltà, la sua negazione diventa automaticamente il primo passo per uscirne. Ed è su questo che dobbiamo interrogarci: sulla capacità e la disponibilità ad incontrare l’altro, che non ha solo fame, ma che ha desideri di futuro. Dobbiamo chiederci se vogliamo chiuderci nella egoistica difesa di quanto acquisito o condividere che la speranza di un futuro migliore sia una possibilità per tutti.
Ma gli economisti non hanno dubbi
I POLITICI possono dire quello che vogliono ed anche i cittadini qualunque, al bar o in tram. Ma gli economisti non hanno dubbi: le dimensioni del fenomeno sono troppo grandi per liquidarle con gli aneddoti sui due ragazzi di colore fermi a non far niente sul marciapiede o sulle famiglia araba nell’alloggio di edilizia popolare. Sulla base dei grandi numeri, dunque, gli economisti concludono che gli immigrati che si rovesciano a ondate sulle frontiere europee non sono il problema. Sono la soluzione del problema. Bisogna trovare il modo di sistemarli e di integrarli: un compito inedito, immane, per il quale non ci sono soluzioni facili. Ma le centinaia di migliaia di uomini e donne, giovani, fra i 20 e i 40 anni, spesso con figli al seguito, che si affollano sulle barche, sui treni, sui camion dei disperati, sono quello di cui l’Europa ha bisogno. Oggi, in media, dice un rapporto della Ue, in Europa ci sono quattro persone in età lavorativa (15-64 anni) per ogni pensionato. Nel 2050 ce ne saranno solo due. Ancora meno in Germania: quasi 24 milioni di pensionati contro poco più di 41 milioni di adulti. In Spagna: 15 milioni di over 65 a carico di soli 24,4 milioni di lavoratori. In Italia: 20 milioni ad aspettare ogni mese, nel 2050, l’assegno dell’Inps, finanziato dai contributi di meno di 38 milioni di persone in età per lavorare. Le soluzioni non sono molte. O si tagliano le pensioni, o si aumentano i contributi in busta paga o si trova il modo di aumentare il numero di persone che pagano i contributi. Sarà un paradosso, ma è più facile che a pagare quei contributi mancanti sia un immigrato, piuttosto che un cittadino italiano. Dovremmo forse iniziare a chiederci se il problema di oggi non possa trasformarsi in una grande opportunità per il domani. Se ne siamo convinti, già sin d’ora serve il supporto di una intelligenza collettiva più grande degli interessi individuali e di parte.

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2 Commenti

  1. Ho visto casualmente su un sito internet che non conosco questo pezzo sul problema degli immigrati, firmato Ferdinando De Capitani. Mi è parso un discorso abbastanza preciso, chiaro e comprensibile, su un problema che fa assai discutere. Su un punto, visto che lo si chiede, vorrei commentare. L’autore arriva a sostenere che gli immigrati non sono, come molti credono e dicono, un problema, ma addirittura una risorsa che guai se mancasse, per un Paese, il nostro, che, essendo sempre più vecchio, di queste grandi quote di manodopera ha e avrà bisogno. La mia obiezione è di questo tipo, e la sintetizzo. La regola, da non dimenticare, è che un paese assicuri a se stesso il turn over demografico mettendo al mondo più bambini, e così dovrebbe essere anche per le persone che emigrano da noi, le quali, invece che essere ingaggiate da noi, dovrebbero ricevere da noi, se ne siamo capaci, insegnamenti per come si lavora a casa loro. Questo sarebbe l’auspicato equilibrio perché le migrazioni sono sempre brutti fenomeni, e il solo ipotizzare l’integrazione di queste persone da noi è piuttosto utopia perché prima ne favoriamo la disgregazione quando, di fatto, li andiamo a chiamare.

  2. Sultema trattato in questo pezzo dal signor De Capitani e dal commento che qui si legge del signor Gianola, vorrei aggiungere una considerazione che per me è di estrema importanza. Il tema è che l’occidente, tecnologico e avanzato (e ricco) deve ragionare in grande e avviare progetti di grandi dimensioni per attuare l’obiettivo di trattenere le persone nel loro paese. Un esempio può essere la Libia:ricca di materia prima energetica potrebbe dissalare il mare e irrigare chissà quanto deserto e ottenere gli insediamenti di chissà quante persone che lì si insedierebbero, lì lavorerebbero, li mangerebbero, lì vivrebbero. Se l’occidente volesse queste grandi cose potrebbe avviarle, e sarebbero chiaramente l’alternativa a scannarci sul problema dei profughi.