MELONI, E’ UN TRAGUARDO ?

di Umberto Cogliati
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traguardo

Sono giorni nei quali si parla tanto di Meloni, nel senso di Giorgia; è il Capo del nostro Governo.

Come è successo? E’ la democrazia, bellezza. Vale e a dire il frutto del sistema che premia chi prende più voti. Qualcuno diceva “Il sistema democratico è il meno imperfetto che si conosca”. Sì perché il governo di un popolo, la storia ne è piena, si può avere in molti modi e, tanto per sfiorarne uno, quando la democrazia non produce e è lenta nel dare gli effetti sperati, il pensiero corre al “sovrano illuminato” che, nei secoli, ha dato prova di interpretare il popolo in maniera invidiabile.

Si sarà inteso che la democrazia, facile da capire, può essere zeppa di difetti perché si fonda solo sul numero, la quantità dei consensi, non la qualità.

Quindi, una volta scelto il sistema lo si deve adottare e ossequiare; non è sufficiente, e faccio un esempio solo, forse il più macroscopico, nel pensare che Adolf Hitler è andato al potere coi numeri, i voti. Il resto è noto.

Allora ci stiamo rendendo conto di avere spostato il discorso sulla qualità. Meloni e De Gasperi ci aiutano? Fate voi il confronto.

In scena entra il quadro politico, i partiti, le condizioni in cui è al momento la società.

Per spiegarci. Se la società, e parliamo molto in generale, per mille ragioni ha smarrito un accettabile tasso di qualità non c’è altro a cui appellarsi che la quantità. I due termini “convivono” ma può essere difficile, e lo è, sovrapporli.

Non si può schivare di parlare della società, oggi. E tiriamo in ballo la Costituzione nella quale, i Padri che l’hanno scritta hanno fatto un tentativo di salvare quantità e qualità con l’articolo 49 il quale, in teoria, compie lo sforzo di conciliare la volontà del popolo, sovrano, e il sistema dei partiti che vuole “democratico”.

Detta più in chiaro la questione sta in questi termini: ognuno può riunirsi a “fare politica” in un partito ma le proposte, le tesi, le iniziative, le decisioni, debbono avvenire in modo democratico al proprio interno; e se ciò non avviene, addio all’art. 49 della “Costituzione più bella del mondo”. Noi che stiamo leggendo abbiamo l’impressione che i partiti in Italia siano retti col sistema democratico o non siano invece “sotto padrone”? Salvini e Berlusconi, per citarne due, tutto quello che propongono ritenete l’abbiano ottenuto coi voti degli aderenti o lo ha deciso il capo (e gli iscritti)?.

Diamolo uno sguardo al panorama politico-partitico. Già abbiamo detto della Lega e di Forza Italia, il resto, e partiamo da Fratelli d’Italia, non se ne conosce il funzionamento interno, se ricco o meno di regole democratiche, si conosce solo che, dall’origine, si tira dietro l’esperienza della destra-destra (difficile da smaltire), ma dalla Meloni quella storia viene venduta con l’intelligenza di chi lucra sul tanto tempo dalla fine dell’esperienza fascista e verso un popolo ormai cambiato, al punto da prevalere sull’assetto partitico attuale. Poi ci sono raggruppamenti partitici minori (Renzi, Calenda, una Sinistra estrema) che oggi hanno solo il merito, o la funzione, di rendere fluido lo scenario e non sfugge il vederli impegnati quotidianamente a creare nuove alleanze o raggruppamenti per introitare consensi e, logicamente, spazi di potere. Ci sono i Cinque stelle, invenzione di Casaleggio e Beppe Grillo ove questo comico ha avuto gioco facile a riempire le piazze facendo leva su un malcontento diffuso, per poi comportarsi, in politica, come un’ altalena che non si capisce da che parte stia; anzi, si capisce: un po’ di qua e un po’ di là, qualcuno dice dalla parte in cui non ci si può fidare.

La Meloni è come se camminasse in equilibrio su una corda, costretta a dare un colpo al cerchio e l’altro alla botte. E questo perché il suo successo si fonda solo sui numeri e si sa che i numeri, da soli, possono durare poco.

Resta il Partito Democratico. Qui il discorso è diverso. L’origine di questo partito, lo si sa, viene dal PCI (Partito Comunista Italiano) e dalla DC (Democrazia Cristiana); due partiti che, lo ricordiamo, erano organizzati al loro interno con regole ferree, a prescindere dai contenuti politici; la fisionomia dei due raggruppamenti si è, nel tempo, fusa a formare il PD, il quale partito, rispetto a tutti gli altri oggi presenti e descritti, offre una qualità del personale politico emergente, di prim’ordine, mediamente ben al di sopra delle altre compagini; quindi si direbbe di qualità alta, che dovrebbe vincere le elezioni, ma non va così.

Per estremizzare, ma non poi tanto, si può ben dire che il PD è tagliato fuori dall’occasione di vincere perché non è abbastanza “padronale”, ma nella sua storia e anche oggi, è quello che più si avvicina al richiamato volere dell’art. 49 della Costituzione.

Abbiamo quindi uno scenario partitico anomalo, dove vincono (hanno vinto) i numeri, ma spazio per lanciare una vera politica di fatto ne esiste ben poco.  Quello che propone la Meloni, lo stiamo vedendo, passata dalla dura opposizione alla responsabilità  del Governo, e quello che lei propone possiamo apprezzarlo come sforzo di buon senso, ma non c’è idea che venga condivisa, ed è contestata all’interno della sua stessa maggioranza.

Potremmo fare svariati esempi relativi ai provvedimenti di questo primo periodo lanciati dalla Meloni; sono tutti in parziale o completo disaccordo già tra i suoi alleati.

La conclusione è che nel Paese, a chi afferma che finalmente si è raggiunto un equilibrio politico col Governo Meloni (magari anche con la facezia dell’essere la prima donna a capo del Governo), possiamo solo fare gli auguri. La politica vera è tutt’altra cosa.

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