Istituzioni: “civico” o “politico”

di Umberto Cogliati
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E’ indubbio che si sta passando un periodo nel quale l’assetto e i compiti delle istituzioni pubbliche sono ogni giorno sempre più indefiniti, e possiamo dire “sotto processo”.

La cosa preoccupa non poco perché si riflette immediatamente sul mosaico dei centri nei quali la democrazia che, non dimentichiamolo, è il sistema che le nazioni diciamo occidentali si sono scelte come base del loro essere. In parole più semplici: definita la base nel sistema democratico, si tratta di  collocare nel suo quadro i vari tasselli con i quali quel modo trovi modo efficace per essere applicato in maniera che risponda meglio alle necessità del popolo che se lo è assegnato come  sistema che  risponda meglio ai suoi bisogni senza smentirsi; ossia, la democrazia, ovunque.

Discorso non facile eppure da affrontare perché in difetto, fatalmente, si scivolerebbe in un antisistema, e a questo non vogliamo nemmeno pensare.

In Europa le Nazioni, gli Stati simili al nostro, pur con lievi differenze, stanno in questo contesto, e si potrebbe parlarne, ma stiamo all’Italia per ora.

Il contesto. Noi abbiamo: Il Governo centrale, le Regioni, le Province, i Comuni, poi altre aggregazioni minori che per ora non consideriamo.

Le Regioni, scelte in Costituzione negli anni ’40 sono state realizzate solo nel 1970. Sulla bontà dell’esito storico delle Regioni potremmo parlare a lungo, qui ci limitiamo a dire che le ombre hanno ben contrapposte le luci, e fermiamoci lì. Sulle Province c’è un altro scenario di interrogativi; l’istituzione Provincia non è mai stata sentita nel profondo dal popolo, pur essendo, fino a qualche anno fa, a elezione diretta ma, verosimilmente, con compiti, funzioni, poco vicini alla quotidianità della vita delle persone (viabilità di medio livello, edilizia scolastica fino a un certo grado, istruzione solo professionale….), funzioni che, anche per non aver incontrato quell’interesse, sono state condotte a una riforma (Del Rio) che ne ha sfornato una istituzione né carne, né pesce. Poi ci sono i Comuni ed è in gran parte sul ruolo e le funzioni di questi che si sta sviluppando, giustamente, un ampio dibattito sul loro ruolo e sui loro contenuti.

Nello scenario di questo dibattito si inserisce un aspetto importante che determina i risultati attesi: il ruolo dei partiti nei rapporti con le pubbliche amministrazioni, comunali in questo caso.

Allora entriamo nel merito. Primo. Com’è, come non è, i partiti politici (previsti all’articolo 49 della Costituzione) sono, mano a mano, scivolati al ruolo di macchina elettorale allo scopo di assegnare potere ai propri dirigenti. Questo data da lontano, origina dal mancato riconoscimento (che la Costituzione vuole) dell’ordinamento democratico dei partiti medesimi. Ci sembra che la vita interna dei partiti sia organizzata con metodo democratico? Come dire che coloro (i partiti) che ci insegnano la democrazia, loro  per primi non la applicano.

Da questa grave contraddizione di base sono generati tutti i soggetti che guidano (dovrebbero guidare) le istituzioni, dal Parlamento in giù.

Ma restiamo ai Comuni. Il clamore che si sta sviluppando sulla formazione delle liste elettorali nei Comuni, ove si rinnova il Consiglio, è il segnale più evidente del rifiuto dei cittadini di obbedire ai partiti per comporre le amministrazioni locali: Consigli comunali e Sindaci.

Il fenomeno è molto evidente anche nella nostra area lecchese e si va caratterizzando col ricorso alla matrice civica piuttosto che politica; in parallelo si nota come il personale più attento e in vista per gli interessi locali, abbandoni la militanza partitica per avviare esperienze chiamate appunto “civiche”.

Che dà corpo a questa tendenza, si potrebbe dire transumanza, sono molte ragioni, la principale delle quali è il “mostro” burocratico che si oppone con mille artifizi ai desideri, alle scelte che

emergono dalle popolazioni e che, sovente, trova alleate classi dirigenti di provenienza politico/partitica facendo da freno a scelte che emergono con nettezza dai desideri locali. Questa patologia si nota maggiormente nella misura nella quale i partiti tradizionali sono “vicini” alle aspettative di potere presenti in aree determinate e prendono sostanza facendo pesare ora la mano tecnica, ora la leva finanziaria, ora una lettura distorta dei regolamenti, di fatto ottenendo che le scelte non risiedano più nella dinamica democratica bensì in quella burocratica.

Altra ragione presente in questa situazione patologica è la presenza e la relativa influenza dei cosiddetti poteri forti, direttamente o in alleanza con la richiamata burocrazia; poteri forti spesso corrispondenti a fonti di interessi legittimi, anche di dimensioni ragguardevoli di tipo economico che, per fini di propria convenienza, tendono a contrastare o correggere scelte che il metodo democratico porta avanti.

E fermiamoci qui. La situazione è giunta a un punto che, a livello locale, parliamo delle amministrazioni comunali, sta prendendo corpo la formazione di assetti che prescindono, vogliono fare a meno, dell’impronta partitica e sentirsi liberi di chiamare a raccolta l’opinione pubblica locale su fabbisogni concreti, nati da elaborazioni e desideri locali, e non imposti da alcuna etichetta o protezione di partito.

La vicenda è interessante, il ricorso all’appellativo  “civico” anziché “politico” non è da oggi ma, da quel che appare, la tendenza si va moltiplicando e c’è da dire che, viste le motivazioni, è senz’altro da incoraggiare, anche se di non semplice applicazione. Sostituire i benefici che la “filiazione” ai partiti portava non è facile, si pensi solo alla necessità di colleganza tra le varie aree comunali, la generazione di servizi a livello intercomunale, l’equità nei meccanismi di accesso ai finanziamenti e molti altri aspetti intuibili. Come a dire, ‘attenzione’ a non sostituire un potentato con un altro.

La spinta c’è ed è positiva. E’ anche un movimento di significativo interesse culturale. Se qualcosa deve cambiare nel profondo questo è il sistema dei partiti. Anche a livello centrale ne stiamo vedendo di ogni sorta: il fenomeno e l’esperienza del Governo Draghi è risultata non più di una nuvola cacciata dal vento, quel vento che, proprio nei partiti, per poco tempo sopiti, è ritornato a soffiare.

Auguriamoci che un qualche Draghi2 abbia la forza di rimettere sul binario giusto la politica, ora allo sbando.

 

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