Il governo Renzi in difficoltà?

di Umberto Cogliati
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Alla spiccia. La guerra contro Matteo Renzi prosegue e aumenta senza sosta. Le ragioni del conflitto sono molte: lui fa la sua parte di provocazione, ma ha contro tutti i suoi antagonisti, dalle opposizioni alle sue minoranze nel PD, dalla sinistra politica compresi i fuoriusciti dal PD, da una vasta categoria di rappresentanti dei media che non gli perdonano la sua “arroganza” o non condiscendenza coi giornali; insomma, ha contro tutto il mondo politico all’infuori della parte maggioritaria del suo partito.

Non solo, in questo non invidiabile scenario, la strategia renziana attizza il fuoco con il peso che mano a mano dà ai contributi di maggioranze variabili, il che non depone a far capire qual è il posizionamento del Partito Democratico; la domanda se il PD sia una forza di centro sinistra o di centro o, addirittura di centro destra, come qualcuno osa spingersi, non fa bene a nessuno, non alla politica del Paese, non al governo, non a Renzi stesso.

Infatti la maggioranza politica che lo sostiene, ma in particolare la compagine governativa, di politico (e siamo buoni) nel vero significato della parola, ha ben poco. Lo diciamo perché abbiamo buona memoria della “buona politica”. Lo si riconosca: la maggioranza è composta da spezzoni che, non solo non c’entrano con una visione strategica della società, intesa come di sinistra o riformista, ma sono giustapposti lì a comporre quel numero che fa la maggioranza e per questo, essendo “pagati” a usura, gestiscono il potere e correggono, e non poco, l’impronta che sarebbe desiderata dall’elettorato democratico. Questo scenario di “sostentamento” spinge a “digerire” ogni incidente di percorso che solo la risolutezza di Renzi riesce ad assorbire, ma fino a quando? Cosa è se non questo l’apporto del movimento di Alfano, pesato assai di più di quel che rappresenta, coi loro bravi incidenti di percorso (caso Zhalabajeva per Alfano, il caso del Ministro Lupi, della Ministra Nunzia De Girolamo), e in più, con grande coerenza, alleati a Roma con Renzi, sono con Salvini e il vecchio amore Berlusconi a Milano, e via con l’abito di Arlecchino. Poi, ultimo arrivato, c’è Verdini che, si dice, abbia una coda di paglia piuttosto lunga, super servo di Berlusconi fino a ieri, voltagabbana come pochi. Diviene difficile non comprendere le ragioni della minoranza del PD.

Poi c’è il “fuoco amico”. La storia che in qualche modo coinvolge la Ministra Boschi e stretti parenti, politicamente sta in piedi solo perché Renzi è un grintoso d’eccesso; ora c’è la Ministra Guidi della quale, se è vero quello che hanno spiato, c’è solo da rammaricarsi del come Renzi, intelligente e sveglio, non dubitasse di quella brutta figura, Ministra del suo governo.

Una tensione a questo livello è difficile che duri, e i problemi all’intorno e in Europa sono assillanti.

Mi permetto di suggerire a Renzi due mosse che lo riportino salutarmente sui binari. La prima, può apparire ovvia ma non lo è, aprirsi alla sua minoranza nel partito; non è un andare a Canossa, ma deve dare l’idea che si cerca e si vuole un partito che recuperi dei contenuti leggibili e che non può stare in piedi solo col pragmatismo del suo Segretario. Secondo, e questo è un “colpo di teatro” che solo Renzi sarebbe in grado di fare: promuovere una norma cogente che dia contenuti a quanto prevede l’art.49 della Costituzione. Nessuno ne parla, eppure sarebbe la mossa che nessuno avrebbe l’ardire di contrastare e farebbe un gran bene al PD e al Paese. Cosa vuole l’art. 49 della Carta? Dice che i partiti concorrono “con metodo democratico” a formare la politica del Paese. I Padri costituenti volevano dire che la democrazia interna alla vita dei partiti, che è la condizione essenziale per chi insegna la democrazia nelle istituzioni, non si limita alla conta dei voti, ma esige il confronto delle idee, l’ascolto, la mediazione, dare il giusto peso anche ai contributi di coloro che non la pensano come la maggioranza numerica. Ed è da questa base che una forza politica, costretta da una norma a comportarsi con questa ricchezza di comportamenti, può anche riversare nella pratica istituzionale le proprie decisioni pretendendo così, e non in altro modo, anche la disciplina di partito.

Ognuno vede come una regolamentazione di quel tipo metterebbe i partiti in grado di divenire adulti interpreti della volontà popolare, con una democrazia interna vera e comprovata, magari diversa da quella che si giudica tale, data da qualche centinaio di voti online.

 

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