Due Italie

di Umberto Cogliati
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Stiamo vivendo un momento che ci ispira due sentimenti opposti: il primo, molto positivo, per  un Paese che apprezza sé stesso, è  rappresentato da fatti e da persone encomiabili, il secondo si può cogliere quanto ad avvenimenti, storie, rapporti tra le persone, che nessuno mai vorrebbe sentir dire o vedere succedere.

Nel merito, a che cosa alludo?

Qual è anzitutto l’aspetto che ci presenta un Paese invidiabile?

Non ho l’abitudine di seguire il Festival della Canzone di Sanremo; la ragione è perché l’ho sempre ritenuto una cosa leggera, frivola, una perdita di tempo, la fotografia di un’Italia non vera, ossia di quell’Italia che vive in grande misura del lavoro, dall’essere il secondo Paese manifatturiero in Europa, in qualche modo dal genio industriale, dai semplici operai che per la marcata capacità di inventare e la fantasia nel lavoro diventano grandi, perfino potenze nel settore produttivo e capaci di imporsi al mondo, per il gigantesco volontariato, perché, per ridurre il giudizio a una sola parola, sono bravi!

Bene, questa Italia che tutti apprezzano ha in qualche modo riscattato quel Sanremo che io sbagliavo a giudicare: quel Sergio Mattarella, il Capo del nostro Stato, si è “fatto giovane” e ci ha fatto capire come un fenomeno qual è quel festival, nella misura nella quale entra nel migliore spirito degli italiani è positivo, è la ricetta per mantenere i nostri “colleghi” cittadini sul binario dove sta la brava gente, quella che lavora e, anche, si sa “divertire” bene, che dà al Paese un esempio equilibrato, che ha capito come l’Italia abbia bisogno di queste cose perché sono, alla fine, quelle che contano. Ed è bastata, per questo, la presenza di una persona a testimoniarlo: un uomo che l’Italia la sa interpretare: si chiama Sergio Mattarella, la cui autorevolezza, l’abbiamo vista anche in questa occasione, la sa spendere per  creare un equilibrio che sembrava frivolo e invece nasconde dei valori. Il Presidente della Repubblica, con un solo gesto, è riuscito a portare Sanremo, il profilo di quel Festival, da fenomeno leggero a una parte di quella Costituzione che noi amiamo ricordare, forse troppo poco, che dovrebbe essere più letta e capita, interpretata e messa in atto.

Non aggiungo nulla su Roberto Benigni che, se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo, tanto è bravo. Lui sa interpretare, col suo linguaggio, il sentimento di quell’Italia che tutti vorremmo.

Poi c’è un’altra Italia, quella che ogni giorno ci dà dispiaceri. E non è solo quella degli evasori fiscali, tanti, o quella dei ladri in guanti gialli, vale a dire che rubano perché la legge glielo consente (e non facciamo esempi), ma anche quella della criminalità. C’è quella “organizzata” e c’è quella piccola; la dimensione non assolve dalla gravità del fenomeno. La società mafiosa e i ragazzi che si accoltellano non possiamo assolverli, sono parte di  un Paese, il nostro, dove quello che cerchiamo e vogliamo è la tranquilla convivenza, il lavoro per i giovani, l’assistenza alle persone in difficoltà, gli ospedali che funzionano, la scuola dove sono gli insegnanti a insegnare e, perché no, non si creda che i problemi del mondo non li approcci la mente umana ma lo smartphone, dove il rispetto per il diverso sia la regola e non una gentile concessione.

E la politica dove la mettiamo? A lavorare perché la seconda Italia cammini per diventare la prima sopra descritta, o, in mancanza di quella, ovvero se porterà solo a interessi di bottega, avremo risultati che vanno dalla prima Italia alla seconda.

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