Diritti o dritti ?

di Umberto Cogliati
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Le due parole si assomigliano, sono quasi uguali, ma la sostanza com’è diversa!

La società di oggi, a darne un giudizio bonario, potremmo definirla mediamente deteriorata, spesso vicina a confondere il diritto con il dritto.

Per spiegarci. I popoli, le persone, sono la somma di soggetti ognuno portatore di diritti, che chiameremo naturali, i quali diritti trovano (o dovrebbero trovare) possibilità di esprimersi e perfino di esaltarsi nel caso confluiscano entro una organizzazione, la società, che esiste proprio a questo scopo, non per altri obiettivi. Basti pensare quanto i diritti di ogni singola persona: diritto alla vita, alla salute, alla conoscenza (per citare i principali), per loro natura quindi personali, recepiti e accolti in una società, abbiano, per la persona, un enorme vantaggio: la tutela e la garanzia di salvaguardia.

Questo lo schema di principio. Poi può succedere, e succede, che la richiamata società organizzata, per poco, per tanto o del tutto, tenda a smarrire il suo nobile scopo per degenerare in altro.

Come? Ci sono degli obiettivi di riferimento, importantissimi ma a rischio, che, se non ritenuti un imperativo, inalienabili, danno avvio al disastro. Sono, questi obiettivi, il sale della suddetta società la quale non se ne deve discostare, e se lo fa si snatura.

Sono: la libertà, quella categoria che, lo sappiamo, è patrimonio, totale, ad ogni individuo, con il solo limite di fermarsi quando lede la libertà di un altro. Qui cogliamo al volo quanto sia importante il ruolo della società la quale, ove lo volesse, avrebbe gli strumenti per stabilire il rapporto tra la libertà del singolo in modo che non interferisca nella libertà di altri. Qui si arriva con un altro obiettivo importantissimo: la legalità, la quale non è altro che una “convenzione”, un patto, che tutti i cittadini stringono tra loro (le leggi), e che sono la concreta messa in atto delle garanzie che ogni singolo cittadino e tutti insieme, chiedono (avendone il diritto) per avere certezza che essi siano tutelati.

La politica, oggi ritenuta una brutta parola, è, invece, lo strumento idoneo per dare alla società organizzata quell’obiettivo, e dove e quando lo manca quella società degrada.

In che modo? La trafila è un po’ questa: la politica disegna come deve essere fatta la società ideale; in questo disegno, che si vorrebbe magnifico, si annidano fattori a rischio, il più pericoloso è il potere, che è l’elemento più delicato in questo scenario, e delicato perché è il più sottoposto alle tentazioni di capovolgerne il fine che, da strumento di servizio fa balenare i più vari tornaconti a chi “pro tempore” lo detiene.

In che modo il potere degenera? L’elemento preponderante è che il potere scambia il diritto di ogni persona ad avere quello che le spetta in forza del proprio diritto, appunto, come una gentile concessione di chi comanda; se ne avrà che la misura del diritto si sposta dalla persona, che ne è la titolare, alla volontà di chi detiene il potere e lo gestisce in modo voluttuario.

Si dovrebbe parlare, ma qui verrebbe troppo lunga, della regola, del meccanismo, che “fabbrica” la classe dirigente (la base del potere, in senso buono), ossia la democrazia, il sistema democratico. Quel sistema, come noto, assegna “il potere” a chi prende più voti. Sembra perfetto, se usato bene; è una “macchina” bella ma molto fragile. Quante volte si è sentita l’affermazione “noi abbiamo la maggioranza e decidiamo noi”, che è come dire “non esiste il giusto e lo sbagliato, che vale è quello che decidiamo noi”.

E’ qui che nascono le degenerazioni. La maggioranza, che detiene il potere, non ha il diritto, in nome del potere, di negare diritti personali a chi li detiene pur non avendolo in mano,  il potere.

Facciamo un esempio, che pare assurdo ma rende l’idea. Una maggioranza potrebbe decidere che la scuola è aperta solo alla famiglie che hanno votato la compagine di maggioranza? Ovvio che no.

Di esempi se ne potrebbero fare. Una simile impostazione creerebbe spazi e consentirebbe comportamenti che, ecco il paradosso, userebbero la regola della democrazia, nata per il funzionamento dell’istituzione e tutelare i diritti di tutti, per “avvelenarla” e farne invece strumento per sottrarli quei diritti non sottraibili.

Cosa può succedere (e succede)?

Quando l’organizzazione di una società è deviata a quel punto, e i cittadini si vedono sottratti loro diritti,  questi, sentendosi defraudati, si sentono legittimati a disobbedire a quelle regole (le leggi), in teoria prodotte per tutelarli, i diritti di ciascuno.

A ben vedere l’atto di disobbedienza alla legge, specchia l’atteggiamento di chi le fa le leggi, e si viene a creare una sorta di marasma che produce gravi storture, anche per la ragione che se una regola diviene “la legge della giungla”, ognuno si crea lo spazio che più gli conviene.

Facciamo un esempio: le tasse. La legge dice (dice) che le tasse vanno pagate in proporzione alla ricchezza; principio saggio. L’applicazione di quel principio avviene, di fatto, al contrario: le tasse precise le pagano i più poveri e invece chi guadagna o possiede di più ha facilità di evadere perché la legge, buona in teoria, non si presta a far valere quel diritto. E gli evasori, moltissimi, in Italia, sono contenti di esserlo, perché torna utile. Eccoli i dritti!

Queste grandi smagliature producono danni a catena e sempre più tanti si sentono autorizzati ad andare contro la legge, perché si genera un circuito perverso, spesso aggravato, non lo si dimentichi, dai casi in cui chi le leggi le fa per primo le trasgredisce.

E al famoso principio “La legge è uguale per tutti”, viene fuori l’aggiunta di sapore ironico ma fondata,  “per qualcuno è più uguale”.

 

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