Vi è l’impressione, diffusa, non solo strisciante, reale, che il mondo stia scavandosi la fossa con le proprie mani.
Si dirà: “Che catastrofismo!”
Con ordine. A me ha fatto grande impressione la notizia che tre tra i diversi grandi “padroni” dei social network: Microsoft, Twitter e Amazon, abbiano a vario modo confessato come le loro invenzioni si stiano piegando in modo incontrollabile verso effetti fortemente negativi per l’umanità. E che questo stia avvenendo in modo tale che a loro stessi, creatori di questi giganteschi congegni informatici, le loro creature stiano sfuggendo di mano.
Ora, data la dimensione praticamente globale in cui si collocano questi giganti, e il condizionamento che da essi ne viene per miliardi di persone, ogni giorno e senza il tempo di respirare, quella presa di posizione, casualmente, o volutamente, sortita in contemporanea dai tre, desta viva preoccupazione, sol che si pensi che le scelte, i destini, i comportamenti di così tanti “clienti”, sfuggono, e per una ragione semplice ma importante. Infatti la situazione ci mostra come il mondo, che dipende da questi invadenti social, sfugga ad ogni regola maestra che vige negli Stati moderni; sfugga ad ogni riferimento istituzionale; sfugga ad ogni parametro coi quali si garantisce a tutti i cittadini la parità, i diritti individuali, quell’insieme di elementi che costituiscono lo Stato di diritto, che funziona perché regolato dall’equilibrio tra pesi e contrappesi sui quali si fondano i nostri Paesi che definiamo moderni e civili. No, qui siamo di fronte a un panorama in cui può succedere di tutto: le strategie delle grandi multinazionali (non solo informatiche), le transazioni economiche macro, ma giù giù fino ai livelli micro, i soggetti e le sedi in cui si produce il reddito, tutto, di fatto, passa sopra alle organizzazioni e alle regole statuali. C’è anche un paradosso, eccolo: il popolo, il famoso sovrano, viene a conoscenza di un solo elemento, una specie di eco, un fenomeno e nemmeno il più importante che emerge da questo scenario: i volumi (giganteschi) di tasse evase che a quei colossi toccherebbe di pagare per i profitti da loro accumulati nei diversi paesi. Ma proprio su questo aspetto gli Stati, i Governi, paiono balbettare, quando, sulle tassazioni, con questi colossi, “si aggiustano”, contentandosi di chiudere con transazioni, chiamiamole forfettarie, che sono semplici entrate di cassa più che esiti vantabili da un diritto fiscale, che di fatto non esiste, e imporrebbe ben altri e più corposi pagamenti.
In altre parole: comandano i governi legittimi o i potenti dell’economia digitale?
E’ vero; succede, e non è la prima volta, che l’Unione Europea, ritenuta, forse un po’ a torto, un vaso di coccio nei rapporti tra le potenze mondiali, appioppa a multinazionali dell’informatica, delle salatissime multe (recentissima è quella a Google), a suon di miliardi di euro. Ma, par di capire che altro è la produzione del reddito e la individuazione del luogo ove si produce, ai fini di tassarne i volumi, e altro sono le sanzioni per l’abuso di posizione dominante (antitrust).
Davanti a questo scenario, a queste “paure”, l’interrogativo, chiaro, è posto a chi crede ancora che la politica, quindi le istituzioni, siano, le chiavi di soluzione dei problemi, anche grandi, enormi, come sono il fatto che nuove entità si sovrappongano alle regole, all’equità, agli equilibri che le società moderne si sono dati, spesso con “sudore e sangue”.
E invece che cosa osserviamo? La inadeguatezza della organizzazione politica, anche di quella che riteniamo la più attrezzata. Una inadeguatezza, che è segnale di retrocessione, e che ha tanti motivi per rivelarsi tale. Il principale è l’ostinazione di ogni Stato a essere sommamente sovrano, nel suo piccolo, quando storia, evoluzione, tecnologie, assumono dimensioni tali che sfuggono a ogni ordinamento che sta in una dimensione ridotta; e invece, sembra paradossale e lo è, cresce la tendenza al “sovranismo”, anziché scemare, trova nuovi adepti nella incipiente nuova cultura populista.
Verrebbe facile invocare l’ONU come dimensione idonea per aggredire problemi e degenerazioni a dimensione globale, ma, purtroppo, sappiamo come l’ONU sia una finzione, impotente a tali scopi, e questo perché le Nazioni Unite sono un raggruppamento del quale, tolte le buone intenzioni, resta un coacervo di Paesi campanilisti (pardon, sovranisti), in quel contesto aggravato da quel resistente anacronistico drappello di Paesi con diritto di veto, ognuno dei quali, esercitando quel diritto, scarica sul mondo intero la propria egemonia “sovranista”.
Potrebbero nascere dei buoni esempi a contrasto virtuoso della impotenza ONU; pensiamo, se lo volesse, alla grandissima forza potenziale dell’Europa, che qualcosa fa, con fragilità e timidezza, volta che scegliesse, finalmente, un percorso che mirasse alla unità politica, attraverso passaggi a questo finalizzati: un sistema fiscale unico, una difesa unificata, una politica della sicurezza e sulle migrazioni condivisa; invece, ahimè, all’interno dell’Europa si affacciano correnti di segno contrario. A parte la “filosofia” populista, che sembra tracciata per la rovina dell’Europa, anche la più semplice graduale cessione di sovranità per ottenere spazi di coesione nel Continente, quindi più autorevolezza, sono visti con sofferenza da quasi tutti i Paesi.
In sostanza ci sarebbe quanto basta per essere pessimisti di fronte alla incapacità di darsi delle regole le quali, senza smarrire i fondamentali a cui si dice di credere: libertà, democrazia, giustizia, affrontino il “governo” di un mondo che deve fare i conti con la dimensione tecnologica raggiunta e che ormai lo sovrasta e lo mette a rischio.
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