A prescindere….

di Umberto Cogliati
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Mettiamola così. Gli italiani hanno votato e scelto due partiti: 5 Stelle e Lega; non si sa se questi hanno vinto perché sono bravi o se, invece, più probabile, i due che governavano prima di loro, PD e Forza Italia, hanno deluso.

Su quella sconfitta molto ci sarebbe da dire, ma un elemento che collega i due perdenti, tralasciando tante altre analisi, è che quelle compagini erano finite, entrambe, per essere il partito di una sola persona: Berlusconi da una parte e Renzi dall’altra. Berlusconi, pur con la sua forza e autorevolezza, anche finanziaria, è rimasto personale padrone del suo partito anche dopo le  disavventure che lo hanno mutilato e indebolito non poco, ma che, senza ricambi in vista, rimane ancora l’esclusivo “dominus” di Forza Italia. Renzi, cresciuto in una logica completamente diversa, politica nel vero senso del termine, con molti consensi, tante capacità, ci ha messo del suo, personalizzando all’eccesso la sua avventura, per dilapidare quel ragguardevole patrimonio.

E con questi due esempi, anzi, cattivi esempi, finiamola qui, non dopo aver verificato come, in entrambi quei casi, risulti difficile ripartire con qualche prospettiva.

 

Passiamo ai due che “comandano”. I 5 Stelle, che, non lo si dimentichi, sono il frutto (dolce o amaro non si sa) di un pensatore, Casaleggio, accoppiato a un altoparlante, Grillo, che, facendo leva sul molto malcontento, hanno setacciato il Paese con roboanti messaggi di rinnovamento, quasi rivoluzionario, all’atto pratico conditi con salsa di nuovismo informatico, riuscendo così a riempire le piazze e poi mettere insieme il 30% dei voti. La Lega, altra origine, non poche disavventure, tutte riscattate dalla grinta del nuovo capo Salvini, anche qui facendo leva su un malcontento, diverso, il problema immigrati, in parte reale, in parte gonfiato ad arte, si prende il suo 18%. Un bel raccolto.

E’ storia recente la fatica (e il tempo perso) dei due per formare un governo insieme, visto che nessuno dei due, pur sognandolo, non aveva i numeri per agire, quindi messo su in extremis per scongiurare l’incombente pericolo di un governo senza di loro (Cottarelli), quindi con risultato zero.

L’hanno dovuto fare nottetempo mettendo insieme un “contratto” (si direbbe con lo sputo) per inserire alla rinfusa le loro promesse agli elettori, cose assai differenti nei desideri dell’uno e dell’altro, ma ormai l’unico ripiego: via gli immigrati e giù le tasse per la Lega; soldi a tutti e “onestà, onestà” per i 5 Stelle. Il legante tra due promesse così differenti è un capo del governo (Conte) di nessuno dei due.

Il bello viene qui. Siccome ognuno dei due a questa soluzione si è rassegnato, perché voleva, e vorrà, diventare il primo partito egemone, e governare, il vero scopo dell’oggi è di brigare per raggiungerlo quell’obiettivo. E ognuna delle due forze sta lavorando per questo, ma siccome le aspettative promesse agli italiani sono così differenti, ci troviamo ad avere non un governo di coalizione, ma un ring dove i due partiti stanno combattendo per averla vinta.

Si capisce come allora il bene del Paese sia una variabile indipendente, perché l’obiettivo è creare le condizioni e, con elezioni al momento giusto, l’uno dare la spallata all’altro. Salvini pare ci stia riuscendo meglio, la sua riserva di promesse, gli immigrati, è praticamente senza fine e quindi può resistere meglio a parlare, come fa già con abilità, alla pancia degli italiani, e i sondaggi sembrano dargli ragione. I 5 Stelle si devono difendere, e la lotta continua.

Lo spettacolo, inedito e non bello è di un governo i cui due responsabili, per la mira inconfessata di prevalere uno sull’altro, mettono in gioco tutto, a prescindere dalle sorti e dal futuro del Paese; l’economia se la stanno giocando, scambiano la fatica che ci vorrebbe per costruire un’Europa migliore, come una disgrazia, e poi, come appendice a questo gioco, vediamo il contributo di “servi sciocchi”, come Berlusconi, gestire il paradosso dove “gli amici (5 Stelle) dei miei amici (Lega), sono i miei nemici”.

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