Il SI’ e il NO del venti settembre

di Umberto Cogliati
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Il prossimo 20 settembre (data storica ma qui è casuale) siamo chiamati a votare un referendum; il motivo riguarda la possibile riduzione del numero dei parlamentari (deputati e senatori) che oggi, lo dice la Costituzione, sono in numero di 630 i deputati e in numero di 315 i senatori. La proposta referendaria chiede ai cittadini di esprimersi se concordano con la riduzione a 400 dei deputati e a 200 dei senatori, quindi, se passasse il SI’, una riduzione totale di 345 parlamentari.

L’argomento posto non è di quelli facili perché a prima vista, ma solo a prima vista, colpisce il risparmio che si otterrebbe non dovendo pagare molti parlamentari.

Ma un po’ d’ordine non guasterebbe anche per chiarire il molto disordine che si sta portando avanti e che nasconde secondi fini molto pericolosi.

Allora, la nostra Costituzione assegna ai parlamentari la funzione di rappresentare a Roma noi che li votiamo per quello. Voi capite che è sacrosanto il ruolo della rappresentanza per nostro conto, solo si vuole comprendere chi, e come, e quanti “rappresentanti” siano in numero giusto e l’analisi va fatta sui territori nei quali l’Italia è  divisa; qui ci vuole molto poco a intuire come non sia la stessa cosa avere un numero di parlamentari adeguato o inadeguato. Infatti, una, non la sola, critica che si muove a questa riduzione, è che l’esito produrrebbe un numero insufficiente ad assicurare una vera rappresentanza ai cittadini e ai territori che hanno il diritto a essere rappresentati.

Ad esempio: se oggi un deputato (o un senatore) è eletto in un territorio di 100.000 persone (il numero è a caso), riducendo il numero quel bacino territoriale si ingrandirebbe a 130/140.000. Quindi è chiaro che ai cittadini elettori aumenterebbero non poco le difficoltà di rapporto con gli eletti (conoscere, proporre, discutere cose utili e interessanti) perché si “disperderebbe” su molti più elettori. Non solo, ma aumentando la quantità dell’elettorato è più facile che sorgano interessi contrastanti nell’ ambito dello stesso bacino elettorale, e i contrasti sono la fonte dell’immobilismo.

A essere buoni il problema di cui ci stiamo occupando nasce nel seno del Movimento 5Stelle e ha origine quando quel Movimento, ultra populista, con toni ultimativi e non si sa quanto meditati, imponeva a chiunque propri capricci, e questo del taglio dei parlamentari è uno di quelli. Poi su quella base e sulla necessità di formare o mantenere in vita un governo, più partiti si sono baloccati con quel capriccio e oggi siamo a un livello di confusione poco comprensibile, salvo che la prova referendaria vede contrari, e giustamente, molti esponenti di ogni corrente politica e ideale, giudicando tragica quella interpretazione dei 5Stelle.

Ma c’è di peggio. Il secondo fine che si nasconde nel referendum. Quello di impoverire ulteriormente il Parlamento ed esaltare sempre di più il ruolo dei partiti, anzi, dei capi partito. I più attenti avranno già compreso che ogni giorno di più la politica e le decisioni più importanti per il bene del Paese, non sono dibattute e decise nel Parlamento, ma sono il frutto di gesti, quasi dittatoriali, di capi partito che, con un twitt, un proclama su Facebook o su Instagram, decidono loro le scelte che il Paese si attende. E ancora peggio se vi fanno credere che questi proclami sono il frutto di una votazione interna a quel tale partito o non sono invece il “capo che decide per tutti”, quando non la messinscena di Rousseau.

Oggi stiamo assistendo a un continuo peggioramento delle istituzioni democratiche; ecco la dimostrazione: l’art.49 della Costituzione dice espressamente “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Orbene, questo imperativo è sempre più disatteso da una classe politica che il ‘metodo democratico’ nel Parlamento e all’interno dei rispettivi partiti lo stanno svuotando, sostituendolo con i messaggi sui social.

E un domani, diminuendo il numero dei nostri rappresentanti, la Camera e il Senato darebbero ancora meno fastidio alle decisioni dei capi partito. E il gioco è fatto!

Una vera riforma, invece, non sta nel ridurre gli spazi di democrazia, ma rafforzando il Parlamento; approvando una legge elettorale che assicuri la presenza di tutte le “fedi”, riscrivendo nuovi Regolamenti per il funzionamento delle Camere (lo si dice da anni), nel far lavorare di più (sì, lavorare) i parlamentari, nelle Commissioni e in Aula.

Invece si viene a proporre di votare SI’ a questa finta riforma che da sé sola peggiorerebbe e di molto, le cose. E’ proprio di queste ore l’appello di molti costituzionalisti, di tutte le tendenze, che avvertono che la mutilazione del referendum arretrerebbe la importantissima funzione del Parlamento che è, in un Paese democratico, il pilastro della democrazia.

Votiamo NO.

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Un Commento

  1. Caro Umberto sono d’accordo con la tua esposizione che mi ha ricordato quanto ebbe a dire tale Berlusconi a un mio amico parlamentare che si era permesso di mettere in discussione una sua indicazione di voto: ti ho fatto eleggere non per pensare ma per votare secondo le direttive mie e del partito. A mio avviso, più che diminuire il numero dei parlamentari, occorre metterli in condizione di lavorare meglio e, soprattutto, di più, pagandoli il giusto.
    Votiamo NO e impegnamoci a liberare la politica dai troppi padroni.