E il Governo del cambiamento?

di Umberto Cogliati
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Il nostro (modesto) blog dei “Liberipopolari” in questa indecorosa vicenda seguita alle elezioni del 3 marzo, non ha parlato. Non ha scritto nulla per due ragioni: una situazione così strampalata è difficile da commentare e, di conseguenza, non c’è uno spazio per prendere una posizione sostenibile.

Il Capo dello Stato Sergio Mattarella (troppo bravo), ha scelto di metterci una pezza con Cottarelli (se nascerà). Se fossi veneto sarei tentato a dire “pezo el tacon del buso” (la pezza è peggio del buco).

E’ certa una cosa: nel momento in cui scrivo si verifica un ribollire incontrollato di posizioni tra le formazioni che fino a poche ore fa erano sul punto di formare un Governo; pare che il desiderio di 5stelle sia di ripristinare l’istanza appena tramontata di vararlo un Governo, con chi non si sa perché la Lega pare che pensi ad altro (alle elezioni). Ci sarà materia di parlarne; per ora basta e avanza lo spazio per commentare quello che è successo fin qui che per certi versi definirlo inedito è poco, meglio definirlo inverosimile, eppure è successo.

Quindi  il commento che farò seguire riguarda una fortissima critica al metodo, ai comportamenti, e non, come sarebbe saggio e stimolante in ore come queste, discutere di politica, di scelte strategiche e sostenibili, di orizzonti e traguardi attesi dalla gente….No, quelli che hanno detto di avere vinto ci hanno nauseato con un solo slogan: “faremo il Governo del cambiamento!”. Cambiare che?

Qui comincia il discorso strabico che più non si può.

Hanno “vinto” in due. Si può vincere in due? E fate il Governo…. No, perché nessuno dei due ha la maggioranza (la quale, lo si ricordi, è il 50+1 %). E ognuno dei due “gemelli vincitori” si attribuisce subito il ruolo di Presidente del Consiglio (perfino già prima di aprire i bussolotti del voto), e i 5stelle compongono perfino un Governo. Già questo fa apparire una buona dose di ridicolo. Poi, attenzione, i due (5stelle e Lega) insistono nel vantare ognuno il loro primato e parlano un gran male l’uno dell’altro, oggetto del contendere chi dei due conta di più: 5stelle con più voti o Salvini con metà voti ma che lo supera a braccetto di Berlusconi e della Meloni. Abbiamo due grandi pretendenti al Governo che si pongono in modo esclusivo. La semplice aritmetica suggerirebbe: “mettiamoci insieme e la maggioranza è fatta. No, non si può, perché un pezzo della congrega salviniana, Berlusconi, di quella alleanza non ne vuole sapere. Cosa resta? Di Maio col suo 32% e il solo Salvini col suo (solo) 17% (praticamente la metà). E da qui che va avanti è solo il tempo, e Governo minga.

C’è anche un catalogo di cose ridicole; una delle tante è che Salvini afferma: “Chiedo a Mattarella di dare a me l’incarico di fare il Governo (a che titolo?); vado in Parlamento e i voti per la fiducia li troverò (!?!)”.

E così, con nulla al quoto, passano settimane preziose e del “Governo del cambiamento” nessuna traccia.

Rassegnati, i due semivincitori, smettono di insultarsi e promettono di accordarsi su una serie di problemi su cui formare, insieme, il Governo e chiamano questa soluzione, udite, “Il Contratto per il Governo del cambiamento” (!), con l’intesa, non dichiarata, di poter trovare  un premier gradito a entrambi.

Chi sta leggendo non faticherà a capire le difficoltà di scrivere un programma (Contratto) buono per due forze politiche che si sono insultate fino a un momento prima, e la difficoltà di trovare un Presidente del Consiglio buono per entrambi, a meno che questa figura non fosse un fantoccio messo lì per rappresentare il non rappresentabile.

In quel “Contratto”, zeppo di aspetti ambigui e non definiti (come la non chiarezza sul punto fondamentale dei rapporti con l’Europa e l’euro), o come gli impegni finanziari stimati da un monte entrate di 500 milioni e a oltre 100 miliardi di spesa senza le coperture, soprattutto non si comprende di chi sarà la responsabilità di realizzarlo; allora, udite la seguente amenità: in caso di disaccordo sui punti del Contratto, si prevede una sorta di organo esterno alle istituzioni (formato da chi?), un Consiglio col compito di dirimere i contrasti (non male come “cambiamento”).

Lasciamo il Contratto e proseguiamo.

Senza tenerla lunga, è chiaro a tutti, ma proprio tutti, che la Costituzione della Repubblica Italiana assegna al Presidente la funzione di scegliere il Primo Ministro, e, su indicazione di questo, la nomina dei Ministri.

Invece lo scenario al quale i due semivincitori ci hanno portato è a dir poco raccapricciante. Non è un sogno: abbiamo assistito, lo ripetiamo, prima ancora delle elezioni, alla formulazione del Governo da parte di 5stelle, con l’ovvio Di Maio Premier, e tutti i Ministri (se questa non è una farsa….).

Ma intanto Mattarella vede che, dopo tanto tempo e tanta pazienza, una maggioranza “politica” non si forma; insiste, vanamente, nei giri di consultazione. Nulla. Allora comunica che, visto questo lungo e inconcludente stallo, provvederà a insediare un Governo istituzionale, pronto a dimettersi ove si palesasse una maggioranza. Solo dopo questa “minaccia” e il tempo trascorso, i due semivincitori pensano al “Contratto”.

“Cicca torna”; ora, fatto il Contratto si deve pensare al Premier (che è il vero problema) e a compilare la lista dei Ministri del Governo (perché il Governo già confezionato dai 5stelle era solo uno scherzo), stavolta “frutto” del Contratto, e i due contraenti vi provvedono. Il Capo dello Stato (pensano) non si azzarderà a voler fare quello che la Costituzione gli assegna, ma firmerà le carte che gli porteremo noi già cotte. Sbagliato, perché Mattarella gli manda a dire che non vuole imposizioni o diktat. I due invece usano sia l’uno che l’altro…

Come Premier trovano questo Professor Giuseppe Conte che dicono di aver conosciuto il giorno prima, e del quale, s’è capito, che la sua buona qualità era di essere un brav’uomo. Conte, da un Mattarella apostolo della pazienza, ottiene l’incarico di formare il Governo; lui si muove, coi suoi due mandanti, e va dal Capo dello Stato con la lista dei Ministri (preparata dai due a casa), il Presidente eccepisce su un nome, che ritiene non accettabile per diverse ragioni. Per andare in porto Mattarella suggerisce pure una sostituzione, con un nome importante della stessa casa madre (la Lega), ma Conte spazi per aggiustamenti non ne ha (perché i due non gliene hanno concessi); quindi gli resta solo quello di rinunciare al mandato.

Apriti cielo! Calpestata la democrazia, Mattarella va cacciato, si è permesso di non approvare le nostre decisioni!  Non solo, l’andamento non proprio favorevole dei mercati in questi giorni, viene pure addebitato, per i ritardi che la vicenda ha accumulato, a Mattarella.

E così, le roboanti promesse di cambiare l’Italia, si sono scontrate con l’”inezia” di intestardirsi sul  nome di una persona. La dimensione tra i due aspetti non regge, e, lo si dica, tradisce la voglia di tornare a contarsi con un nuovo voto per vedere chi dei due primeggerà. Come pare stia avvenendo in maniera esplicita in queste ore.

Le lodi e le buone qualità riconosciute dapprima a Mattarella vanno in fumo perché ha osato.

Il colmo, è doloroso questo aspetto, è che Sindaci, anche del lecchese, hanno tolto dal loro Ufficio il ritratto del Capo dello Stato Sergio Mattarella, in segno di disprezzo!

Interessi di partito, insomma! E il “cambiamento”? Verrà…..

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