C’entrano le banche, certo, chiamate istituti di credito, e che ogni giorno che passa, non da tutte ma da molte e anche importanti, appare chiaro il discredito. Ma c’è anche dell’altro, di cui dirò la mia opinione.
Per stare alle banche. Credo sia chiaro a tutti come la principale ragione di quelle gravi crisi sia stata la concessione di prestiti facili e il fatto che quelli non rientrino, accumulando montagne di “sofferenze”, come le chiamano. Ora appare come precetto non tanto il famoso “chi sbaglia paghi”, ma che le banche si devono salvare, costi quel che costi, per forza!
Mettiamo che questo sia giusto, lo Stato (e chi se no?) chiamato a cacciare soldi, tanti, i nostri, per “ricapitalizzarle”, dovrebbe dire, per buon senso o per il dettato della trasparenza, chi, nomi e cognomi, ha dato soldi con leggerezza e chi non li ha più restituiti. Qui c’è un paradosso, e non si sa dove stanno il credito e il discredito. Il Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana, tale Patuelli, dice che bisogna far sapere; il governo, ossia quello che maneggia i nostri soldi, sulle prime si dice d’accordo, poi cincischia, poi si dice contrario (Ministro Calenda). A chi affidarsi?
Sul “Sole 24 Ore” (16 gennaio) compare la graduatoria dei Sindaci e dei Presidenti di Regione più apprezzati. Da quella classifica si comprende, e si rimpiange, come la sparizione delle ideologie o, se vogliamo, delle ispirazioni, che davano contenuto, regole e azione ai partiti politici e alla relativa classe dirigente, ci lasci in eredità un mondo completamente diverso, che ci mostra come la classe dirigente si basi non più sul possesso delle qualità provenienti dalla adesione ai partiti in cui si milita, ma solo sul rispettivo profilo o sulle qualità personali; si trovano, diciamo, nelle istituzioni, quasi per caso, o per fortuna o sfortuna di chi ce le ha mandate. Ognuna delle persone assurte a posizioni di responsabilità, non si riconosce uguale ad altra dello stesso partito, ma ognuna spende quello che ha, se ce l’ha, quanto a patrimonio di serietà, di capacità di ascoltare e di fare, di autonomia di giudizio anche, e non, viceversa, col cervello portato all’ammasso dei capi di quelli che si continuano a chiamare partiti.
Eccone una prova. Nei Sindaci, il primo apprezzato è Chiara Appendino (Torino, 5 Stelle), il secondo è Dario Nardella (Firenze, PD), il terzo è Federico Pizzarotti (Parma, cacciato dai 5 Stelle); gli ultimi tre sono: 102° Vito Damiano (Trapani, centro destra), 103° Virginia Raggi (Roma, 5 Stelle), 104° Maria Rita Rossi (Alessandria, centro sinistra).
Similmente, nei Presidenti di Regione (18 in totale): il primo, più gradito, è Luca Zaia (Veneto, Lega), il secondo Enrico Rossi (Toscana, PD), il terzo Roberto Maroni (Lombardia, Lega); gli ultimi, 16° Debora Serracchiani (Friuli V.G., centro sinistra), 17° Francesco Pigliaru (Sardegna, centro sinistra), 18° Rosario Crocetta (Sicilia, centro sinistra).
Di chiaro c’è solo una sorta di abito di Arlecchino, tanto non c’è corrispondenza tra quegli amministratori e la loro “casa” politica, oppure c’è, ma quella casa è….fatta così.
Questo sta a dire come la società senza più riferimenti solidi, sia andata all’indietro.
Certo, il discorso è più complesso, ma certe cose balzano all’occhio: quale partito dirà mai a un Presidente della Sicilia, (destra o sinistra) con la forza di essere ascoltato, che una Regione spugna mangia soldi non è più tollerabile, o chi dirà mai alla Serracchiani che il suo incarico è a Trieste, non a Roma a fare il vice segretario del PD. In sostanza, non si vede più una fisiologica competizione tra classe dirigente che abbia nel DNA l’appartenenza a una forza politica strutturata e seria nei suoi principi e che persegua suoi chiari obiettivi, invece, non è bello constatarlo, i partiti, quelli di una volta, li vediamo “decaduti” a comitati elettorali o poco più; in quelli più nuovi c’è di tutto, e anche la gigantesca operazione di marketing Casaleggio e C., ha prodotto, sì, classe dirigente, ma secondo fortuna: vedi Torino, Roma, Parma. Invece tutti, ma proprio tutti, i partiti, sono concordi nel non dare corso all’art.49 della Costituzione (spessissimo osannata) che vuole democrazia al loro interno.
La “consolazione” è che la massa, gli elettori, portatori di diritti, non lo si dimentichi, sono costretti a prendere quello che “passa il convento”, e la cosiddetta classe politica governa parlandosi su twitter.
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