E’ Trump il nuovo mondo?

di Piero Gambirasio
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Trump

Tutto il mondo ne parla, ed è giusto: si tratta della guida della nazione che da almeno un secolo è potente al punto di dettare, determinare o interferire sull’andamento del resto del mondo: l’America, anzi, gli Stati Uniti d’America.

L’occasione è questa elezione, inaspettata, di Trump alla guida dell’America. Il fatto, importante da essere sempre definito storico, si presta, per effetto del rimbalzo sul mondo, ad analisi e a giudizi, oltre che a comportamenti che, si voglia o meno, debbono tenere conto di quell’evento.

Le analisi sono molte, ce ne sono anche di gustose, ma è meglio spingerci su quelle verosimili, forse vere. Si va da chi asserisce essere un evento che segna il cambiamento del mondo in senso populistico (si citano la Francia di Le Pen, l’Italia di Grillo e Salvini, la stessa Brexit viene così connotata), ed è una verità parziale, altri che, all’ apparenza in modo più semplice, che dicono: “Non è Trump che ha vinto, è la Clinton che ha perso”. E’ un’analisi suggestiva e in parte vera, ma monca, né serve ad avvalorarla il fatto che lei ha perso pur avendo speso in campagna elettorale il doppio di lui, o che Obama ha sbagliato a sostenerla perché non lo meritava, ecc.

Io penso che il successo di Trump poggi su due pilastri, importanti, condivisibili o meno: il primo è che ha parlato quasi esclusivamente agli americani, ai loro interessi, ossia all’America, non al mondo (come, per tradizione o per dovere o per ingerenza sul mondo, anche i candidati alla presidenza hanno sempre fatto), e gli americani “più tanti” gli hanno creduto: i bianchi, gli ex operai, anche i poveri, meno gli ispanici, o gli afro americani. Il secondo pilastro, è quello che per noi europei si presta al pensiero dei rischi: il “rifiuto” della globalizzazione esaltato dai propositi isolazionistici di Trump; un tragitto contro corrente che dal punto di vista dell’economia e del mercato potrebbe avere effetti nefasti anche sui “bisogni” dell’Europa, in un momento di particolare debolezza del nostro continente. Si aggiunge, nel profilo di questo nuovo Presidente, anche se da lui dichiarato “a spanne”, la volontà di alleggerire la tensione con la Russia di Putin, e questo, usando l’attrezzo che si chiama ottimismo, se provocasse almeno un’intesa su quel terribile scenario di guerra nel medio oriente, sarebbe un massimo successo.

Staremo a vedere. Le tante, ma tante, inimicizie che hanno costellato questi mesi contro il “pericolo” Trump (governi, politici, intellettuali, i media quasi tutti), dovranno ripiegarsi in molti inchini, primo per dare atto a Trump che è stato più scaltro, anche perfino dei sondaggisti, e secondo per la necessità ineludibile di dover fare i conti con lui (che, non lo si dimentichi, vive un momento di potere assoluto avendo la maggioranza sia al Congresso che al Senato); una sorta di Canossa collettiva e numerosa .

Perché ha perso Hillary Clinton? Primo perché il suo avversario ha vinto, e non è la banalità che sembra, perché per la vittoria il suo competitore ha usato delle qualità vincenti rispetto a lei. Pensate: Trump è un repubblicano solo di facciata, un non iscritto, essenzialmente un senza partito: è lui che ha vinto, mentre la sua antagonista disponeva dell’ establishment più potente al mondo; quindi si è dimostrato come l’apparato, e i soldi, non hanno prevalso sul “minus” che la Clinton, essa stessa, si è portata in giro: oltre a una certa antipatia personale (che conta molto in un’epoca dove la forma può vincere sulla sostanza, dove la bella confezione vince sul prodotto), molti elettori non le hanno perdonato ambiguità e farisaismi dei quali è costellata la sua carriera, nella politica, nell’alta finanza, nella vicenda di Bill, ossia comportamenti falsati perché addomesticati al fine di una sua personale carriera che doveva culminare con la palma della donna più potente del mondo. Le è andata male.

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