Volontariato di frontiera

di Rosalba Riva
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carceri

Titolo impegnativo da comprendere, ancor più se riguarda ambiti difficili, come il “ricupero”.

Che è il “ricupero”? I dizionari sono ricchi al riguardo, ma il significato è sempre di impronta positiva: riprendere, riportare sulla retta via, salvare da un naufragio, apprezzare chi sbaglia, anche, e non è un paradosso, serve per indicare loro un traguardo migliore. E la persona è, anche qui, il centro!

Deduzione; affrontare un’azione di ricupero in carcere è una prima frontiera. Persone portate lì da circostanze le più varie, un errore che segna il limite, un passaggio ritenuto obbligato, oltre la guardia.

Questo lo scenario. Aderirvi senza guardare la misura significa stare insieme per fare emergere l’essenza della persona, accendere una luce su quello che si è entrambi: il bene e il male tuo e mio, premessa per rompere la catena di errori.

Se questo è l’approccio, si parte. Ma bisogna fare, e scegliere il meglio del fare, perché l’ozio non è mai un riscatto.

Allora, avanti. Dai avvio all’esperimento, che risulterà esperienza, avviando laboratori di piccolo artigianato. Più che la dimensione, grandiosa deve essere la passione che ci metti, la costanza, da condividere tra chi mostra e chi apprende, dove impieghi il tempo e ti sembra persino scarso pur nella condizione obbligata di stare lì, senza poterti allontanare, ma è qui che si ha prova di come un portone che non ti fa uscire non può chiuderti la mente per apprezzare un rapporto umano indovinato.

Il lavoro, la grande invenzione, binario che taglia di netto l’illusione di riuscire senza “far niente”.

Quando vedi che dalle mani reciproche nascono manufatti, prodotti insieme dalla tua volontà e da quella delle persone che hai “in cura”, provi la soddisfazione che si ha costruendo un nuovo percorso di vita.

Lo devo dire: non in “quindici lunghi anni”, come si usa, ma il breve tratto di quindici anni, con decine di persone che hanno accettato di confrontarsi con l’impegno a loro proposto, lascia quell’appagamento che va oltre il “lavoro artigiano” fatto insieme, il quale, pur quotato e apprezzato, è stato di fatto il pretesto, il veicolo, qui indispensabile, per tendere a un traguardo di vita riscritto ma di impronta nobile come tutte le persone devono poter essere, condizione realizzabile per questi amici quando giungeranno all’”alloggio libero”.

E una frontiera c’è, per tutti. Per chi esce libero quella, non facile, di far capire che ora sei diverso, e la ragione è che hai potuto disporre, forse per la prima volta, di una occasione e di una guida che prima ti è mancata. E che ti indica altresì nuovi comportamenti, che non devono escludere la tolleranza, la pazienza, il rispetto, sì, il rispetto verso chiunque, ora che sei stato “premiato” e divenuto virtuoso con te stesso.

Se ne può parlare.

 

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Un Commento

  1. Se ho capito giusto la Sig.ra che ha scritto questo pezzo è una volontaria di grande forza. Penso che siano poche al suo livello, perché, in un ambiente come quello che lei descrive, non basta la volontà, ma ci vuole coraggio e temperamento.
    Complimenti!